Terapia della depressione

Cura della depressione

Cura della depressione
Scritto da Adriano Legacci

– Psicoterapie supportive
– Terapia psicoanalitica
– Psicoterapia psicodinamica breve
– Terapia interpersonale
– Terapia cognitivo comportamentale
– Il trattamento farmacologico

Cura della depressione. Psicoterapia e farmaci.

LE PSICOTERAPIE

Cura della depressione – Psicoterapie supportive.

Elenco psicoterapeuti per la cura della depressione

Cura della depressione. Le psicoterapia supportive consistono in un numero di complesse attività, che giocano un ruolo importante nel trattamento della depressione (Karasu, 1997).

La relazione terapeutica supportiva, stabilita tempestivamente e mantenuta durante il decorso della malattia, è la base da cui si sviluppano i fattori terapeutici per la cura della depressione; attraverso di essa, il terapista ottiene empaticamente le informazioni dal paziente e guadagna la sua fiducia, in modo che il paziente sia consapevole della disponibilità del terapeuta nei momenti di crisi (Karasu, 1997).

Mediante un.approccio educativo e preventivo rispetto alla depressione  lo  psicologo o il terapeuta  forniscono inoltre al paziente una spiegazione razionale dei suoi sintomi e della malattia, favorendone una comprensione più chiara e promuovendo una conoscenza delle possibilità di trattamento per la cura della depressione.

Nel percorso di cura della depressione  il paziente viene guidato al contempo all’interno del suo ambiente (che include relazioni interpersonali, lavoro, condizioni di vita e altre necessità mediche o collegate alla salute) assistendolo nei vari contesti e necessità, come la pianificazione delle assenze dal lavoro o negli altri compiti e responsabilità richieste (Karasu, 1997).

Come ricorda Karasu (1997), il trattamento  previsto dalla psicoterapia supportiva per la cura della depressione  include, oltre agli aspetti sopra descritti, anche specifiche funzioni terapeutiche:

  • promuovere il mantenimento della vigilanza nell’ambito dell’emergenza degli impulsi distruttivi diretti a sé o agli altri;
  • dissuadere il paziente dall’intraprendere grandi cambiamenti di vita che potrebbero essere basati sullo stato depressivo;
  • aiutare il paziente a sostenere il suo stato d’animo e a raggiungere una prospettiva più ottimistica rafforzando aspettative di aiuto e di speranza per il futuro;
  • ottenere il supporto di altre persone che fanno parte della rete sociale del paziente, supportando anche loro, specialmente quando il deterioramento delle relazioni interpersonali è una componente integrante della malattia;
  • porre traguardi che siano realistici e raggiungibili per il paziente (per non diminuire ulteriormente il già scarso senso di competenza e la stima di sé);
  • incoraggiare il paziente a cercare nuove piccole esperienze di successo, prendendosi una sorta di impegno con il mondo esterno (attraverso, ad esempio, attività professionali, sociali o religiose);
  • sostenere il paziente ad affrontare le esperienze di vita, spesso limitate, ed i contatti interpersonali.

(Karasu, 1997)

Cura della depressione – Terapia psicoanalitica e Psicoterapie psicodinamiche a lungo termine

Ricordando le originarie formulazioni di Freud sulla psicodinamica della depressione, per cui da una relazione altamente ambivalente con un oggetto perduto risultava ostilità repressa diretta a sé, autocritiche e impulsi autodistruttivi (in realtà rivolti all’oggetto introiettato), Karasu (1997) considera ulteriori fattori eziologici della depressione emersi dalle successive concettualizzazioni psicodinamiche che, insieme alle precedenti, hanno giocato un ruolo importante nella realizzazione del trattamento.

Tra i fattori considerati significativi nelle considerazioni eziologiche sulla depressione (ovvero sulle cause che generano la depressione) l’autore ricorda:

  • la vulnerabilità psicologica
  • la dipendenza dalle fonti esterne per il mantenimento dell’autostima
  • una precoce mancanza di amore, cura, calore, protezione
  • una disposizione depressiva segnata da colpa, incapacità e paura relativa alla perdita di amore

(Karasu, 1997).

Molti teorici psicodinamici, tra cui Rado, Klein, Kohut, Bowlby, Rutter, Paykel, ecc., condividono la tesi della natura eziologica di deficit correlati a precoci deprivazioni di amore e affetto, di conflitti legati alla colpa basata su una rigida coscienza e su fantasie represse di desideri infantili e trasgressioni, e/o di frustrazioni correlate ad un Io ideale eccessivamente alto (Karasu, 1997).

A tali deficit e conflitti viene attribuita la causa delle patologiche punizioni che l’individuo depresso rivolge contro sé, del rifiuto di sé, dell’impoverimento dell’autostima e delle evidenti manifestazioni depressive (Karasu, 1992; cit in Karasu, 1997).

La teoria su cui si fonda il trattamento psicodinamico per la cura della depressione presuppone, dunque, che i processi intrapsichici sottostanti alla depressione continueranno a perpetuarsi finché le relative forze inconsce non saranno portate alla coscienza e sotto il controllo dell’Io. A questo punto le difficoltà potranno essere anticipate e dominate e i conflitti potranno essere affrontati e neutralizzati attraverso il processo di insight, che, come ricorda Karasu, contiene in sé aspetti sia cognitivi che emotivi (Karasu, 1997).

La relazione transferale, inoltre, può essere utilizzata per promuovere un accurato esame di realtà e la modifica di basilari e durevoli modelli di pensiero, affetto e comportamento che il soggetto non era precedentemente in grado di riconoscere (Karasu, 1997). Ad esempio, in individui vulnerabili e sensibili alla perdita, che ricorrono alla formazione reattiva ed al volgersi contro il sé come meccanismi prevalenti per controllare gli impulsi aggressivi, è fondamentale, nel corso del trattamento, l’individuazione e la modifica di tali meccanismi (Karasu, 1997).

L’approccio psicodinamico (Adriano Legacci, 2014) che integra il proprio modello di intervento per la cura della depressione anche con una versione più supportiva si propone di alleviare i sintomi presenti, riducendo i vantaggi secondari della malattia ed aiutando il paziente ad adattarsi alle circostanze della vita ed agli eventi stressanti (Karasu, 1997).

Mc Williams (1994) fornisce alcune indicazioni terapeutiche specifiche per la cura della depressione in una prospettiva psicoanalitica.

L’autrice individua come elemento fondamentale nel corso della cura della depressione in un’ottica psicoanalitica la creazione di un’atmosfera di accettazione non giudicante, rispetto ed impegno alla comprensione del soggetto; il terapeuta deve porsi l’obiettivo centrale di analizzare costantemente nel soggetto la sottostante aspettativa di un inevitabile rifiuto e di comprendere gli sforzi impiegati ad essere “buono” nel tentativo di prevenirlo (Mc Williams, 1994).

Il lavoro del terapeuta per la cura della depressione consiste inoltre nell’indagine ed interpretazione delle reazioni del soggetto ad ogni tipo di separazione, nei tentativi di rendere coscienti le fantasie che il soggetto ha su di sé e nella capacità di cogliere come conquiste evolutive comportamenti che in altri pazienti apparirebbero come resistenze (ad esempio, nel paziente particolarmente compiacente e collaborativo una seduta mancata può essere interpretata come un trionfo sulla paura che il terapeuta possa mettere in atto ritorsioni contro il soggetto, ad ogni sua minima opposizione) (Mc Williams, 1994).

Ad ogni modo, il fattore terapeutico prevalente nella cura della depressione, identificato dall’autrice, è la possibilità che il soggetto sperimenti, nella relazione analitica, il ritorno del terapeuta in seguito ad una separazione. In questo modo il soggetto può iniziare a comprendere che la rabbia per l’abbandono non provoca, come lui teme, la distruzione del rapporto (Mc Williams, 1994).

Cura della depressione – Psicoterapia psicodinamica breve

Mentre la terapia psicoanalitica, proponendosi di modificare il substrato strutturale del disturbo depressivo, richiede un lungo tempo, le terapie psicodinamiche brevi per la cura della depressione si focalizzano su alcuni aspetti centrali della malattia depressiva e, secondo Karasu (1997), sono utilizzate per la cura della depressione in particolare nel trattamento dei sintomi depressivi manifesti o di circoscritte aree problematiche.

Specifici sentimenti e comportamenti depressivi, come le eccessive e irrealistiche aspettative nelle relazioni significative o i modelli perfezionistici relativi a se stessi, possono essere indagati nel corso della terapia dinamica breve, con l’obiettivo di ridurre il senso di colpa ed incrementare la stima di sé (Karasu, 1997).

Un esempio di questo tipo di terapia psicodinamica breve per la cura della depressione è contenuto nel manuale di Luborsky per i trattamenti espressivi-supportivi del 1984 (cit. in Karasu, 1997), che si basa sulla necessità di esprimere, concepire e riformulare i principali problemi relazionali nell’ambito di una sottostante relazione transferale. Viene individuato, a questo scopo, un principale tema relazionale conflittuale, che rappresenta il bersaglio centrale del trattamento terapeutico (Karasu, 1997).

Cura della depressione – Terapia EMDR

EMDR significa Eye Movement Desensitization and Reprocessing ovvero “Desensibilizzazione e Rielaborazione  attraverso i Movimenti Oculari”. È una tecnica che nasce negli Stati Uniti negli anni ’80, viene dapprima utilizzata in psicoterapia nel trattamento di gravi eventi traumatici (incidenti, grandi catastrofi, attentati, abusi), ed è a tutt’ oggi considerata tra i trattamenti d’elezione nel Disturbo Post-Traumatico da Stress.

Nel corso degli anni è stato possibile  verificare l’efficacia dell’EMDR (Giovanna Carnazza, 2018) anche su traumi e problematiche più frequenti quali fobie, depressione, lutti, disturbi d’ansia, dipendenze, malattie oncologiche.

Cura della depressione – Terapia interpersonale

La terapia interpersonale si basa sull’ipotesi secondo cui il fattore centrale nella malattia depressiva è costituito dalla rete sociale e dall’ambiente interpersonale del paziente (Karasu, 1997).

L’approccio è breve e standardizzato, con un programma di circa 15-20 sedute per trattamento (Karasu, 1997).

Tendenzialmente, dopo una prima fase, in cui vengono fornite al paziente informazioni sulla condizione clinica della depressione, si passa alla fase intermedia, che mira all’identificazione della principale area problematica (Karasu, 1997).

Questo tipo di terapia si pone l’obiettivo di indagare i precipitati depressivi che comportano perdite interpersonali, il ruolo delle controversie e delle transizioni, l’isolamento sociale, o i deficit nelle capacità sociali (Klerman et al., 1984; cit. in Karasu, 1997).

Karasu (1997) riassume le quattro principali aree o problematiche interpersonali che la terapia interpersonale riconosce come comunemente correlate alla depressione:

  1. le anormali reazioni di dolore
  2. il ruolo interpersonale delle dispute
  3. il difficile ruolo delle transizioni (ad esempio, tentativi fallimentari nell’affrontare i compiti evolutivi o eventi di vita significativi, come il passaggio da una scuola all’altra, cambiamenti di carriera o congedi)
  4. deficit interpersonali, che includono capacità sociali inadeguate

Con tali presupposti, il paziente viene aiutato dal terapeuta ad elaborare le perdite attraverso il lutto, a riconoscere gli affetti correlati, a comprendere e risolvere il ruolo delle controversie e delle transizioni e a superare le carenze nelle capacità sociali per promuovere l’acquisizione di conferme sociali (Karasu, 1997).

Cura della depressione . Terapia cognitivo – comportamentale

All’interno della terapia cognitivo-comportamentale esistono diverse tipologie di intervento rivolte alla cura della depressione, da quelle basate su tecniche che mirano a modificare direttamente il comportamento del paziente depresso a quelli che mirano soprattutto a modificare le cognizioni sottostanti al disturbo depressivo (Saggino, 2004).

La terapia cognitivo-comportamentale per la cura della depressione individua i modelli di pensiero distorti negativamente come la base del comportamento e dei sintomi depressivi; come sintetizza Karasu (1997), secondo questo approccio la disforia non sarebbe tanto un disturbo dell’umore quanto piuttosto un disturbo della cognizione.

Infatti, come descrive Sabbatini (2023) in un articolo che riassume in maniera molto efficace e chiara per un lettore non specialista ciò che c’è da sapere sulla terapia cognitivo-comportamentale, la nostra mente tende ad elaborare informazioni e percezioni per confermare ciò che già pensiamo (le nostre credenze) e che ci aspettiamo da noi stessi o dagli altri, anzichè analizzare gli eventi e le situazioni che ci si presentano in maniera critica ed ogggettiva.

I tre fattori riconosciuti dalla terapia cognitivo-comportamentale, derivante dalla teoria di Beck, come gli elementi centrali disadattivi della psicopatologia depressiva, a cui è rivolto il trattamento, sono:

  1. la triade cognitiva (ricorrenti visioni negative su se stesso, il mondo e il futuro);
  2. gli impliciti schemi irrazionali, basati su precedenti esperienze, con cui l’individuo reagisce all’ambiente esterno;
  3. gli errori (o distorsioni) cognitivi, ovvero sistematiche deviazioni negative del pensiero che pervadono il giudizio che il soggetto depresso ha di sé e degli eventi di vita.

(Karasu, 1997; Saggino, 2004).

Con tali presupposti, la terapia cognitivo-comportamentale (Marangoni & Lodi, 2015) per la cura della depressione mediante un approccio breve e standardizzato (15-20 sedute) che utilizza specifiche tecniche cognitivo comportamentali  (Valeria Palano, 2016)  si propone di:

  • Ridurre i sintomi del paziente, inducendolo a riconoscere i pensieri auto distruttivi (Karasu, 1997).
  • Modificare le cognizioni erronee dei pazienti dentro e fuori la sessione del trattamento; correggere i pensieri disfunzionali, promuovendo specifiche esperienze di apprendimento da cui il paziente possa imparare a regolare le proprie cognizioni, a riconoscere le connessioni tra cognizioni, affetto e comportamento, ad analizzare le prove che confermano e contraddicono il suo pensiero automatico distorto e a sostituire tali cognizioni con interpretazioni più conformi alla realtà (Saggino, 2004).
  • Promuovere nel paziente la capacità di auto-controllo e padronanza di sé, in modo che possa imparare a riconoscere e ristrutturare autonomamente le proprie cognizioni erronee e gestirle meglio nel futuro (Karasu, 1997; Saggino, 2004).

Cura della depressione – Il trattamento farmacologico

Informazioni sul trattamento farmacologico della depressione (Andrea Lisotti, 2015).

L’intervento psicofarmacologico si pone l’obiettivo specifico di normalizzare l’equilibrio alterato dei neurotrasmettitori (Saggino, 2004).

Gli antidepressivi più comunemente usati nel trattamento farmacologico per la cura della depressione sono:

  • Triciclici (ATC)
  • Inibitori della monoaminossidasi (IMAO)
  • Inibitori della ricaptazione della noradrenalina (NRI)
  • Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), altrimenti detti antidepressivi di seconda generazione.

I primi due tipi di antidepressivi influenzano le monoamine seretonina e norepinefrina, mentre gli SSRI agiscono soprattutto a livello della serotonina (Saggino, 2004).

La scelta di un farmaco per la cura della depressione dipende da vari fattori, tra cui gli effetti collaterali, le condizioni di ogni singolo paziente (Saggino, 2004), le interazioni farmacologiche e i disturbi clinici concomitanti, basandosi anche su considerazioni circa la sicurezza, la tollerabilità, il costo e la convenienza del rapporto dose – efficacia (Biagi, Carta, 2001).

Come ricordano Biagi e Carta (2001), ai fini di una buona compliance del paziente, la somministrazione della terapia antidepressiva deve essere preceduta da un’educazione informativa esauriente circa gli effetti collaterali del farmaco.

La terapia inizia a sviluppare la propria azione terapeutica dopo 2-3 settimane (Saggino, 2004) dall’ inizio della somministrazione; secondo Biagi e Carta (2001), inoltre, la durata del trattamento dell’episodio depressivo non deve essere inferiore ai 4-6 mesi e per i pazienti che soffrono di depressione ricorrente può essere richiesta, al termine di un trattamento di sei mesi, una terapia di mantenimento.

In un recente articolo di Ankarberg e Falkenstrom (2008) viene considerato il fatto che nel trattamento della depressione con antidepressivi agiscono sia componenti farmacologiche che componenti psicologiche.

Gli autori, analizzando la tendenza generale degli orientamenti farmacoterapici a concentrarsi esclusivamente sugli elementi tecnici delle modalità di somministrazione dei farmaci, suggeriscono di considerare il contesto entro cui viene inserito il farmaco come un fattore di grande rilevanza per i risultati terapeutici. Quando, ad esempio, un paziente si dimostra resistente al trattamento, è raccomandabile modificare il contesto psicologico in cui il farmaco è prescritto, piuttosto che cambiare farmaco, aggiungerne altri o aumentare il dosaggio (Ankarberg e Falkenstrom, 2008).

In contrasto con gli approcci che, considerando il farmaco di per sé come la parte più importante di un trattamento antidepressivo, si concentrano sui dettagli farmacologici del trattamento, gli autori evidenziano l’importanza di concentrarsi piuttosto sulla creazione di un contesto di somministrazione del farmaco che possa offrire le migliori opportunità per la riduzione dei sintomi. A questo scopo è fondamentale la relazione che il paziente stabilisce con il medico, in cui assumono una particolare rilevanza fattori quali il tempo che il medico dedica al paziente (gli autori suggeriscono un incontro almeno ogni due settimane) e l’attenzione che il medico rivolge a come il paziente vive la relazione con lui.

La possibilità di vedere il medico come qualcuno che conosce bene il suo paziente promuove nel soggetto la sensazione di essere compreso e sostenuto, rafforzando il senso di fiducia nei confronti della terapia. Tutto ciò, come espresso dagli autori, facilita la creazione ed il mantenimento di una buona alleanza terapeutica nel corso del trattamento per la cura della depressione (Ankarberg e Falkenstrom, 2008).

Sull'Autore

Adriano Legacci

Già direttore dell'equipe di psicologia clinica presso il poliambulatorio Carl Rogers e l'Associazione Puntosalute, San Donà di Piave, Venezia.
Attualmente Direttore Pagine Blu degli Psicoterapeuti.
Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave.
Psicoterapia individuale e di coppia.
Ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, disordini alimentari, disturbi della sfera sessuale.
Training e supervisione per specializzandi in psicoterapia

9 Commenti

  • …un senso di disperazione mi accompagna da sempre..ho intrapreso diverse terapie.. molto interessanti, ma dispendiose, l’ultima si è interrotta per il decesso del mio medico. Ho fatto un bel percorso ma penso che abbia necessità di una terapia di supporto, attualmente la mia vita è molto difficile…

    • Cara Denise, perdere il proprio terapeuta nel corso di un lavoro di psicoterapia è una esperienza dolorosa e traumatica, che lascia importanti temi in sospeso. Sarebbe utile poter riprendere il suo percorso di cura, che includa l’elaborazione della perdita del suo riferimento precedente.

    • Cara Daniela, ti ringrazio per l’apprezzamento. La capacità di trovare un momento per fare un dono agli altri, che talvolta può essere una semplice parola, è di chi possiede bellezza d’animo.

  • Mi sento solo , sfortunato , vorrei ricevere un po’ di affetto che non ho mai avuto. Sono triste. E difficile comprendere le persone a volte provi a dare tutto te stesso , ma non serve e rimani deluso, dormo poco ho bisogno di qualcuno vicino..

    • Filippo, è importante nella vita non scegliere per se stessi il ruolo della vittima. Incolpando la sorte, o gli altri. E’ importante avere autostima e rispetto per la propria vita e la propria sorte. A partire da questo diventa possibile instaurare rapporti significativi e gratificanti con gli altri esseri umani.

  • Dott Legacci l’ipersensibilita’ dei recettori della serotonina possono causare l’ansia e la depressione?
    Nel libro “la Strana malattia” di Stefano Ligorio che ho appena finito di leggere si afferma che queste patologie sono disturbi chimici del cervello.
    Per lappunto io soffro da anni di attacchi di panico e non ho mai preso farmaci.
    vorrei sapere da cosa dipendono?
    È vero che c’entra l’ipersensibilita dei recettori della serotonina?
    Grazie

    • Grazia, la sua domanda susciterebbe un vespaio, e una moltitudine di risposte diverse, in un convegno di fisiologi e di psicologi. Siamo meccanismi complessi e ogni nostra reazione emotiva è certamente mediata chimicamente. Siamo però di fronte ad un meccanismo di influenza circolare: la fisiologia del corpo umano influisce sulle emozioni; le emozioni a loro volta generano alterazioni di carattere fisiologico, neurologico e ormonale. Nel caso degli attacchi di panico l’assunzione di farmaci può certamente rivelarsi un prezioso ausilio, ma non costituisce in alcun modo la soluzione del problema. Poichè l’origine primaria dell’attacco di panico è di natura strettamente psicologica, una valida psicoterapia costituisce ancora il trattamento preferenziale per questo tipo di patologia.
      http://www.attacchi-di-panico-psicoterapia.it/

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